Caino e Abele nella storia dell’interpretazione biblica sono connessi a due archetipi principali: quello della conflittualità tra fratelli e quello della vittima innocente. Da parte sua, unicamente la figura di Caino è collegata alla dimensione del peccato e della punizione. Nel quarto capitolo della Genesi, l’unico nella Bibbia ebraica che parla dei due fratelli, l’accento batte sul fatto che Caino è fratello di Abele (mentre non si afferma il contrario): il particolare è orientato a declinare l’idea di fratellanza nell’orizzonte della responsabilità. Nella Bibbia nessuna parola è messa sulla bocca di Abele, nel Corano invece il figlio di Adamo parla per dichiarare al fratello che non restituirà male per male, nel contempo però egli fa appello alla punizione divina. Nella Bibbia la parola «peccato» appare per la prima volta solo in relazione a Caino; non si tratta di una trasgressione bensì di una forza esterna a cui si è chiamati a resistere. In epoca successiva il peccato personificato fu identificato con il Maligno. La punizione di Caino comportò non la morte bensì l’erranza. Questo aspetto fu ripreso a suo modo dall’antigiudaismo cristiano per suffragare la visione del «popolo testimone» attribuita agli ebrei. Questa prospettiva, più che sottolineare l’aspetto della sostituzione del fratello maggiore a opera del minore, definisce l’esistenza discriminata del popolo ebraico in funzione dell’affermazione di sé.
(autore: Piero Stefani)