Editoriale.
Gioie e speranze. La costituzione pastorale Gaudium et spes a cinquant’anni dalla sua promulgazione
7 dicembre 1965. Il concilio ecumenico Vaticano II si sarebbe chiuso solennemente l’indomani. Paolo VI aveva imposto tempi accelerati, per evitare il pericolo che il massimo evento della Chiesa cattolica nel XX sec. non avesse una conclusione ufficiale che consegnasse alla Chiesa e al mondo un programma compiuto di rinnovamento. Già il concilio Vaticano I era stato sospeso all’improvviso, a causa dell’invasione di Roma da parte dei Piemontesi. E molte delle sue fatiche erano poi rimaste quasi lettera morta.
Alcuni padri conciliari avrebbero voluto almeno un altro anno di tempo, per migliorare il testo della costituzione pastorale. Nella prima parte, il quadro dell’umanità contemporanea presentava ancora disomogeneità e contraddizioni interne. La riflessione teologica pareva ancora troppo estrinseca a quella sociologica e filosofica. Nella seconda parte, l’analisi sui principali problemi etici che scuotono il mondo di oggi e interpellano la Chiesa, era ancora figlia dell’approccio deduttivista del cosiddetto Schema XIII. Paolo VI e con lui moltissimi padri conciliari ebbero partita vinta sottolineando i grandi progressi che avevano compiuto l’impianto teologico, l’approccio metodologico e i singoli contenuti della costituzione pastorale, soprattutto a partire dal seminario tenuto ad Ariccia all’inizio del 1965, dove fu abbandonato lo Schema XIII e si cominciò a pensare e a scrivere in modo nuovo.
Il Dossier su Gaudium et spes [GS] che presentiamo qui si concentra sul testo finale. Se avessimo scritto un’ulteriore storia della formazione di GS, non avremmo detto nulla di nuovo rispetto a quello che la storiografia del Vaticano II ci ha fatto conoscere in questi decenni di intenso lavoro di scavo. Il testo finale è quello che in ogni regione del pianeta è entrato nelle comunità e nei cuori dei cattolici: ha fornito loro il vocabolario e la mens per affrontare i concomitanti cambiamenti della Chiesa e del mondo, che di lì a poco avrebbero scosso tradizioni e coscienze. Su quel testo si sono svolti e si svolgono ancor oggi innumerevoli itinerari formativi, corsi universitari, dibattiti pubblici. Quel testo ha suscitato la curiosità e la simpatia di tanti che non si riconoscono nella Chiesa cattolica e neppure nel cristianesimo: eppure, in quelle parole essi percepivano – sin dall’incipit – il vento nuovo che soffiava nelle vele della barca di Pietro.
Che ne è oggi di quel testo e delle affermazioni che esso contiene sull’uomo, sulle dinamiche della società e della cultura e soprattutto sulla presenza della Chiesa nel mondo? È davvero la pagina più invecchiata del concilio, quella più legata a un’umanità e a uno spirito che non esistono più? Noi siamo convinti di no! Gli articoli di questo Dossier sono e contengono le motivazioni di questo orientamento del nostro pensiero e del nostro agire. L’attualità o l’inattualità di GS non è infatti una questione di «partito» ecclesiale: i riformatori, sostenitori del principio di discontinuità, tifano per la sua attualità; i conservatori, assertori del principio di continuità, sono per l’inattualità; e in mezzo gli immancabili moderati, con il loro pragmatico «un po’ e un po’». Se così fosse, i contenuti e i metodi della costituzione pastorale sarebbero schiacciati sull’attimo presente e con ciò relativizzati e svuotati di senso. Non si tratta di scegliere che cosa tenere e che cosa buttare; né di accomodarla, adattandone il messaggio per l’oggi. Ma si deve lasciar parlare il testo, chiedendosi che cosa esso possa dire di sensato a cattolici che spesso paiono senza bussola o con vecchie carte nautiche e a pastori che preferiscono navigare sotto costa.
Costituzione pastorale: un apax nel bimillenario magistero dei concili. Da subito si notò che questa denominazione e il metodo che le è sotteso sarebbero stati un limite e una risorsa: un limite, per una teologia che si concepisce come scienza di essenze e di principi; una risorsa, per una Chiesa che sente nella sua azione testimoniale la dynamis del regno di Dio. Costituzione pastorale: un ossimoro, che riunisce in un solo corpo vivente la teoria teologica e la pratica evangelizzatrice, l’analisi scientifica e l’azione responsabile. Costituzione pastorale: un unico atto, quello del fare e del pensare, in cui il sapere è organico all’agire e l’agire è la principale fonte del sapere. Abbiamo letto e vi proponiamo GS nella prospettiva della Teologia dell’evangelizzazione, unità dinamica di verità teologica e veridicità pastorale. I redattori degli articoli vivono in prima persona questa duplice, ma in realtà medesima appartenenza al pensiero e all’azione: ci sembra un indispensabile requisito per una lettura a tutto tondo della costituzione pastorale.
Guidati da questa ermeneutica dell’azione pensante, abbiamo individuato quattro macro-questioni: sono i pilastri su cui si regge GS, nella sua redazione finale, approvata a larghissima maggioranza dall’assemblea conciliare. Nel Dossier li troviamo formulati sotto forma di interrogativo, a cui il magistero ecclesiale si sforza di dare una risposta evangelica, nella consapevolezza che essa non può essere quella definitiva, perché tanto il vangelo quanto l’umanità sono perennemente in movimento.
1. La domanda su Dio, sulla sensatezza di cercarlo e sulla possibilità di trovarlo. Ne scrive Paolo Boschini, indicando come l’interpretazione dell’ateismo e della secolarizzazione sia condotta a più livelli. Essa non si conclude con una condanna del mondo moderno; ma con un atto di fiducia nei confronti dell’umanità di oggi e con l’invito a non aver paura degli interrogativi radicali né delle inquietudini profonde che l’odierna esistenza nel mondo porta con sé. La strada per cercare e trovare il Dio del vangelo comincia di qui.
2. La questione dell’uomo e del suo futuro. Federico Badiali vede in GS 22 la linea maestra che congiunge il magistero conciliare al presente, passando attraverso l’insegnamento di tre grandi papi come Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, i quali hanno fatto di quel «Gesù Cristo, nuovo Adamo, [che] svela pienamente l’uomo all’uomo» la pietra miliare del cammino ecclesiale e la fonte del suo perenne sforzo di dialogo evangelizzatore.
3. Il primato della coscienza e l’agire umano secondo libertà e responsabilità. Matteo Cavani evidenzia la «rivoluzione copernicana» inaugurata da GS in campo morale. Ridefinendo la coscienza come il luogo interiore della relazione libera e liberante con Dio, si riconosce la validità del principio dell’etica moderna e si descrive la fede cristiana come principio efficace, capace di comprendere e di dare vita alle istanze di bene inscritte dal Creatore nel cuore umano.
4. La convivenza tra i popoli e il progetto di una pace mondiale. Se ne occupa Ilaria Vellani, che ricorda come GS raccolga il pensiero e l’azione di tanti cattolici, i quali nel XX sec. hanno proposto un modello di relazioni politiche tra i popoli basato sul desiderio di una giustizia più grande, che alberga nei cuori di tutti: ciò vale specialmente nei tempi in cui i conflitti locali minacciano di estendersi su scala planetaria.
Chi avrà la pazienza di leggerci – e di ciò lo ringraziamo anticipatamente – si troverà tra le mani un discorso vivo, a tratti provocatorio; non un pamphlet commemorativo. Le risposte della costituzione pastorale alle sfide di quel tempo suonano oggi come domande rivolte alla Chiesa e ai cristiani di questo tempo. L’approdo serale del cammino è il punto di partenza per l’indomani. Adesso non ce ne stiamo seduti, assistendo a un suggestivo, caldo e rassicurante tramonto. Ma siamo già in piedi, pronti a veder sorgere il sole tra la bruma del mattino e a riprendere un cammino incerto e faticoso, portando nello zaino il peso delle angosce e la spinta delle speranze dell’umanità di questo nuovo secolo.
(autore: Paolo Boschini)